la fruizione
     una città morta
     che è viva


     C'è un motto in cui AVASA si riconosce: "Archeologia per un futuro giovane". Con queste parole vogliamo sottolineare tutto il potenziale racchiuso nel progetto Urkesh.
     Come archeologi, ci mettiamo alla ricerca di città morte, di lingue morte, di civiltà morte.
Urkesh è tutto questo.
     Eppure, in realtà, non è nulla di tutto questo.

     Urkesh è sorgente di vita e di azione, proprio perché si trova radicata in una solida prospettiva archeologica, nella coscienza delle persone che vivono nel suo territorio – tra i confini più limitati del sito archeologico così come tra quelli più ampi della Siria intera. È davvero un'antica città hurrita che oggi vive di una nuova vita siriana.
     È qui che si trovano le radici del futuro "giovane" di Urkesh: giovane perché molti dei nostri collaboratori locali sono di giovane età, certo, ma – e questo è ancor più importante – giovane poiché ha tutto il vigore di un'impresa che è investita dall'energia di un ideale comune.
     Sotto le cupi nuvole della guerra, e contro ogni violenza e fanatismo, il progetto Urkesh emerge come una fonte di luce, un fulcro di ideali. Si tratta di "archeologia pubblica" nella sua forma migliore.

     In questo senso, l'archeologia può essere vista come paradigmatica. Comincia con la massima distanza – la testimonianza muta di una cultura materiale tagliata fuori dalla nostra esperienza – e termina con la risurrezione di una cultura e, attraverso di essa, dell'esperienza dietro quella cultura. Questo rimane, in definitiva, l'obiettivo di ogni sforzo archeologico.